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Procedura inusuale del capo dello Stato, che ha convocato i giornalisti

al termine di una cerimonia al Quirinale:

"Sento il bisogno di parlare"

Napolitano: "Le toghe non travalichino"

Anm: "Ma c'è un'aggressione"

Il premier: "La persecuzione dei pm ci porta sull'orlo della guerra civile.

"Dalla magistratura in atto una deriva eversiva"

Vogliono far cadere il governo"

Abbraccio della pace tra Brunetta e Tremonti

Berlusconi:

2009-10-26

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2009-11-27

E ancora: "nulla può abbattere un governo che abbia la maggioranza"

"Basta tensioni tra giudici e politica"

Napolitano: la magistratura svolga rigorosamente le proprie funzioni. "Riforma per portare equilibrio"

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NOTIZIE CORRELATE

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Berlusconi: "I pm vogliono farmi cadere" (26 novembre 2009)

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Anm: "Procure vuote, siamo alla paralisi" (25 novembre 2009)

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Lapresse)

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Lapresse)

ROMA - L'eccesso di enfasi nelle dichiarazioni pubbliche non fa bene alle istituzioni, soprattutto se i toni accesi rischiano di creare fratture e tensioni. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, coglie l'occasione di un'udienza in Quirinale per convocare i giornalisti per una comunicazione urgente. "Scusate, vi ringrazio della vostra disponibilità - ha esordito il presidente -. Sento il bisogno di dire qualcosa in questo particolare momento". E il qualcosa è una dichiarazione di pochi minuti che chiama in causa la necessità di rasserenare gli animi, all'indomani di dichiarazioni che, da più parti, sono state sintetizzate come una sorta di "guerra civile".

"TENSIONI TRA ISTITUZIONI" - "L'interesse del Paese, che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine economico e sociale - ha detto Napolitano - richiede che si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali".

GOVERNO E MAGGIORANZA - "Va ribadito - ha aggiunto - che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento , in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare".

L'APPELLO AI GIUDICI - Quanto agli eccessi nei toni delle esternazioni dei diversi soggetti istituzionali, il capo dello Stato ha evidenziato che "è indispensabile che da tutte le parti venga uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che quanti appartengono alla istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione. E spetta al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia".

LE REAZIONI - "C'è piena condivisione, è un messaggio che va letto e apprezzato nella sua totalità" ha poi commentato il presidente della Camera, Gianfranco Fini. "Le parole di Napolitano mi sembrano sagge e opportune" ha invece detto il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano.

BOSSI E BERSANI- L’appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a non drammatizzare lo scontro fra istituzioni e a un maggiore autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche è condiviso da Umberto Bossi. Il leader della Lega nord, fermato da due cronisti mentre lascia la Camera, risponde "sì, bisogna stare un po’ tranquilli". Secondo il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, dal capo dello Stato arriva "un richiamo forte ed energico al quale tutti devono corrispondere. In particolare, da ogni passaggio delle parole del Presidente, emerge ancora una volta la centralità del Parlamento. Di questo siamo consapevoli e convinti. È quella la sede nella quale deve condursi un confronto trasparente e leggibile dai cittadini tra le diverse posizioni politiche sia in termini di riforme sia per quel che riguarda le grandi scelte economiche e sociali". Per Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, "il Presidente ha fatto bene a ricordare cose essenziali, che in altri Paesi sarebbero addirittura scontate: sono gli elettori a decidere le maggioranze parlamentari, e quindi i governi". "Ora sta alla magistratura rispettare questo monito - ha aggiunto -, e porre fine sia a invasioni di campo delle solite procure sia ad azioni di chiaro segno politico, volte ad alterare gli esiti decisi liberamente e democraticamente dagli elettori".

"NON STIANO ZITTI" - Fuori dal coro Antonio Di Pietro: "Non intendo polemizzare con il Presidente della Repubblica, ma intendo riaffermare che anche in questa legislatura ci sono troppi parlamentari in conflitto di interessi con la giustizia, direttamente o indirettamente. Affidare serenamente a questo Parlamento, così composto, le riforme in materia di giustizia sarebbe come affidare a Dracula la gestione del pronto soccorso". "Sempre evitando di polemizzare con il Capo dello Stato - ha aggiunto - , non posso però esimermi dal riaffermare che i magistrati, quando lamentano l'impossibilità di potere svolgere il proprio lavoro per colpa di norme criminogene che vengono emanate da questo Parlamento, non possono essere zittiti. È come rimproverare i chirurghi che segnalano la mancanza del bisturi in sala operatoria. Prendersela con loro, non risolve la malattia, anzi, porta a morire il paziente, vale a dire la giustizia nel nostro Paese".

27 novembre 2009

 

 

 

 

Terminato l'incontro con il presidente della camera

Anm: "Non siamo in guerra,

ma non vogliamo essere aggrediti"

"Rimane difficile continuare a mantenere un ruolo di equilibrio quando si è attaccati tutti i giorni"

Il presidente dell'Anm Luca Palamara (Ansa)

Il presidente dell'Anm Luca Palamara (Ansa)

ROMA - Non è una risposta diretta alle parole di Napolitano che proprio in mattinata ha chiesto la fine delle tensioni delle istituzioni, ma il tema del corretto rapporto tra i poteri dello Stati viene ugualmente toccato: "La magistratura non è un'istituzione che è in guerra, noi non siamo in guerra con nessuno, però chiediamo di non essere aggrediti" ha detto il presidente dell'Anm Luca Palamara, al termine di un incontro che ha avuto, insieme al segretario del sindacato delle toghe Giuseppe Cascini, con il presidente della Camera Gianfranco Fini. Giovedì aveva fatto rumore l'attacco ad una parte della magistratura dal parte del Popolo della libertà. Nel documento vergato durante l'ufficio di presidenza del Pdl (e approvato all'unanimità) è stata tracciata con decisione la linea politica sulla giustizia: "Anche il corso dell'attuale legislatura - si legge tra le altre cose - è stato turbato dall'azione di una parte tanto esigua quanto dannosa della magistratura, dimentica del proprio ruolo di imparzialità".

DIFFICILE MANTENERE L'EQUILIBRIO - Palamara il giorno dopo ha cercato le parole più adatte per replicare: "Rimane difficile continuare a mantenere un ruolo di equilibrio - ha spiegato il presidente dell'Anm - quando si è aggrediti tutti i giorni. Ma i magistrati devono e vogliono continuare a fare ciò che la Costituzione gli impone". Detto questo, però, "di fronte a una riforma che viene annunciata abbiamo il dovere, così come è stato fatto per la legge sulle intercettazioni, di indicare le ricadute sul sistema".

I GIUDICI SI RICONOSCONO NELLE PAROLE DI NAPOLITANO: - "Il capo dello Stato fa affermazioni in cui ogni magistrato deve riconoscersi" ha poi aggiunto Palamara, a chi gli ha chiesto chiede un commento sul monito di Napolitano a evitare invasioni di campo. "Il tema della giustizia va affrontato a 360 gradi - ha insistito il leader del sindacato delle toghe - il Paese ha bisogno di riforme e non di conflitti".

27 novembre 2009

 

 

 

 

 

Caso Mills: si riparte dopo lo stralcio determinato dal Lodo Alfano

Berlusconi, nuovo processo il 4 dicembre

"Con giudici sereni ci sarà assoluzione"

Ghedini fiducioso alla ripresa delle udienze. Il premier è imputato per corruzione. Ma venerdì non sarà in aula

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NOTIZIE CORRELATE

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"Mills corrotto dopo aver testimoniato" (11 novembre 2009)

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Milano, "David Mills fu corrotto". Condannato a 4 anni e 6 mesi (17 febbraio 2009)

L'avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini (Lapresse)

L'avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini (Lapresse)

MILANO - Il processo sul caso Mills nei confronti di Silvio Berlusconi partirà a Milano venerdì prossimo. Il procedimento sarà condotto da giudici diversi da quelli - Gandus, Dorigo e Caccialanza - che hanno celebrato il processo di primo grado all'avvocato inglese, condannandolo a 4 anni e sei mesi per corruzione in atti giudiziari (sentenza poi confermata anche in appello). Il primo processo vedeva anche Berlusconi quale imputato, con l'accusa di avere corrotto il testimone David Mills. Il processo, iniziato a marzo 2007, era poi stato stralciato nel 2008 per effetto del Lodo Alfano, poi giudicato incostituzionale dalla Consulta. Di qui la ripresa del procedimento, ma con altri magistrati, come prevede la procedura.

GIUDICE "SERENO" - Niccolò Ghedini, difensore del premier, ha fatto sapere che venerdì prossimo Berlusconi non sarà in aula per "legittimo impedimento", essendo convocata una seduta del Consiglio dei Ministri. Il legale si è detto tuttavia fiducioso in vista della nuova prova processuale, che affronterà affiancato da Piero Longo: "Siamo tranquilli che se troveremo un giudice sereno ci sarà l'assoluzione".

L'EFFICACIA DEGLI ATTI - Il presidente del tribunale, nel determinare che saranno dei nuovi magistrati ad affrontare il caso, ha accolto la dichiarazione di attenzione del vecchio collegio e ha deciso che sono efficaci gli atti compiuti prima dello stralcio. La difesa del premier potrebbe però decidere di contestarne l'utilizzo nel nuovo dibattimento chiedendo che vengano riascoltati tutti i testimoni davanti ai tre nuovi giudici. Lo stesso Ghedini ha sottolineato che "il fatto che il tribunale abbia dichiarato che gli atti compiuti prima della sospensione per il lodo Alfano nel processo Mills siano efficaci, non vuol dire anche che saranno utilizzabili" Servirà infatti il nostro consenso per la loro utilizzabilità e decideremo di volta in volta se darlo".

 

27 novembre 2009

 

 

 

 

 

E sulla leadership del Cavaliere: "E' solida, si illudeva chi lo voleva messo all'angolo"

"Berlusconi non ce l'aveva con Fini"

Bonaiuti: non pensava a lui quando ha detto che chi non condivide la linea del partito è fuori

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NOTIZIE CORRELATE

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Berlusconi: i pm vogliono farmi cadere. "Fuori dal partito chi non si adegua" (26 novembre 2009)

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Voto agli immigrati, tensioni nel Pdl Bossi non ci sta. Fini: "Anatemi inutili" (18novembre 2009)

Paolo Bonaiuti, portavoce del premier e del governo (Lapresse)

Paolo Bonaiuti, portavoce del premier e del governo (Lapresse)

ROMA - "Berlusconi non si è affatto rivolto a Fini" quando giovedì, al vertice di maggioranza di Palazzo Grazioli, ha detto che chi non si adegua alla linea del partito è fuori. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, ai microfoni di RaiNews24. "Ha fatto un discorso di una semplicità estrema - ha detto Bonaiuti -. Ha ricordato che il Pdl è un partito che ha l'obbligo morale di rispettare e realizzare il programma votato dagli elettori. Se qualcuno non è d'accordo, si discute in maniera libera, liberale e aperta e poi si vota. Poi chi è in dissenso si adegua alla maggioranza altrimenti come si potrebbe andare avanti? È questa la differenza tra noi e il Partito Comunista. Lenin credeva che la classe dirigente avesse come parametro una superiorità morale, che ancora oggi la sinistra rivendica, mentre noi abbiamo come parametro gli elettori".

FINI E IL VOTO AGLI IMMIGRATI - Berlusconi, secondo le indiscrezioni raccolte dei cronisti, aveva insistito molto sul tema delle decisioni prese a maggioranza su cui il partito deve poi risultare compatto. E nel documento emerso dopo il vertice era stato specificato nero su bianco che "ogni ipotesi di voto a non cittadini italiani è estranea al programma e alla linea politica del Popolo della libertà". Ma proprio sul diritto di voto agli immigrati per le amministrative il presidente della Camera si è espresso in più di un'occasione e anche nel corso dell'incontro pubblico alla Sala Buzzati del Corriere aveva rivendicato il diritto di libera espressione, sottolineando come non deve essere uno scandalo de parlamentari di diverso orientamento politico firmano insieme una proposta di legge (e il riferimento indiretto era proprio a quella sul voto agli immigrati presentata pochi giorni prima da Walter Veltorni e firmata tra gli altri da alcuni deputati pdl di area finiana). E i distinguo di Fini, negli ultimi tempi, sono stati diversi: dallo stop alla fiducia su un maxiemendamento del governo alla Finanziaria alla questione di opportunità sulla candidatura del sottosegretario Cosentino per la guida della Regione Campania.

"MAI PARLATO DI GUERRA CIVILE" - Bonaiuti però insiste: "Questo è un partito che ha un programma: se qualcuno non è d'accordo sul programma, si discute in maniera liberale, si vota a maggioranza e si va avanti. Se il presidente riporta un minimo di regole si dice "ce l'ha con Fini". Ma che c'entra questo?". Bonaiuti ha poi smentito anche la frase sulla "guerra civile" che avrebbe detto il presidente del Consiglio. "Guerra civile fa titolo, ma non l'ha detto. Si è parlato di divisione del Paese provocata dall'accanimento esagerato della magistratura nei nostri confronti. E' venuta fuori addirittura l'ipotesi di acquisizione degli atti della nostra riunione da parte della magistratura!".

LA LEADERSHIP DI BERLUSCONI - Quanto alle tensioni degli ultimi tempi in maggioranza, in particolare il caso Brunetta-Tremonti, Bonaiuti si è detto fiducioso che "l'accordo terrà. Ho partecipato al Comitato economico che si è svolto al PdL con Tremonti e ho trovato un clima concorde e consapevole. Non ci saranno richieste eccessive e sono convinto che la finanziaria chiuderà tranquillamente". E sulla leadership di Berlusconi: "Non sembra per nulla logorata, se qualcuno, i poteri forti e mediatici, credeva di aver messo il premier all'angolo si illudeva. Ieri siamo usciti dalla riunione dell'ufficio di presidenza con quattro temi votati all'unanimità. Con tutta la confusione che c'è nella politica, è un bel risultato. Un partito come il nostro ha sempre cercato di venire incontro all'avversario ma con questa sinistra è difficile".

 

27 novembre 2009

 

 

 

Campagna d'inverno che rompe l'assedio

e cerca di isolare Fini

La parola più usata è stata "processo": in senso lette­rale e metaforico. Ma Silvio Berlusconi ieri l’ha evo­cata per uscire dal bunker nel quale il centrodestra è stato spinto dal braccio di ferro con la magistratura e l’opposizio­ne. In parte, il Pdl c’è riuscito, riproponendo come legge costituzio­nale il "lodo Alfano" bocciato dalla Consulta; e insistendo sull’ac­corciamento dei tempi processuali. Le tensioni, però, non diminui­scono, anzi. Il presidente del Consiglio accusa alcuni giudici di "de­riva eversiva". Vede una sorta di "guerra civile fra poteri dello Sta­to ", anche se l’espressione è stata smentita da palazzo Chigi.

La tesi berlusconiana è che si punti a far cadere il governo. Ma il premier conferma anche l’irritazione verso alcuni alleati. "Il parti­to decide a maggioranza", ha detto. "Chi non si adegua è fuori". Il riferimento sembra in primo luogo al presidente della Camera. I distinguo di Gianfranco Fini sulla giustizia, sull’immigrazione, sui rapporti Governo-Parlamento ap­paiono indigesti. Per palazzo Chi­gi, a giustificarli non basta il ruolo istituzionale. La sensazione è che il premier voglia esasperare i contrac­colpi politici che le inchieste sicilia­ne e le rivelazioni di alcuni pentiti stanno provocando. L’obiettivo ap­pare doppio: ricompattare una coa­lizione slabbrata, e dare un segnale a quella parte dell’opposizione non ostile in modo pregiudiziale alla ri­forma della giustizia. Accettare il percorso costituzionale per la leg­ge che esclude dai processi le prime cariche dello Stato serve a rom­pere l’assedio.

Ma non è scontato che la manovra riesca. La reazione del Pd, e dell’Idv che parla di scenari golpisti, conferma un clima avvelena­to; e l’atteggiamento di Fini resta un’incognita. Ma dopo un lungo silenzio Berlusconi ha deciso la sua "campagna d’inverno", con toni allarmati e ultimativi: tipici di chi chiede di serrare i ranghi. È un ultimatum per ottenere dalla coalizione un "sì" senza condizio­ni al "processo breve" che dovrebbe sottrarlo alle inchieste nelle quali è imputato. C’è da chiedersi, tuttavia, che cosa accadrà se continueranno i distinguo di una parte del Pdl. La minaccia neppu­re troppo velata di espulsione dei dissidenti è facile in linea teori­ca, meno in concreto. Forse, potrebbe avere una sua logica se pren­desse corpo il voto anticipato, che impone la disciplina di partito. L’aut aut di ieri assumerebbe il sapore di un appello preelettorale. Ma non si è ancora a questo punto; né è detto che ci si arrivi.

Massimo Franco

27 novembre 2009

2009-11-26

Abbraccio della pace tra Brunetta e Tremonti

Berlusconi: "Dalla magistratura

in atto una deriva eversiva"

Il premier: "La persecuzione dei pm ci porta sull'orlo della guerra civile. Vogliono far cadere il governo"

Tremonti e Brunetta (foto d'archivio)

Tremonti e Brunetta (foto d'archivio)

ROMA - È in atto un tentativo di far cadere il governo. È quanto avrebbe spiegato Silvio Berlusconi durante la riunione dell'ufficio di presidenza del Pdl. Il premier avrebbe puntato il dito soprattutto contro la magistratura, spiegando che certi giudici hanno preso una deriva eversiva. Secondo quanto riferiscono alcuni presenti, Berlusconi ha parlato di una vera e propria persecuzione giudiziaria nei suoi confronti, che porta il paese sull'orlo della guerra civile. Per questo, Berlusconi avrebbe chiesto di andare avanti con il provvedimento sul processo breve e sulla riforma costituzionale della giustizia. A questo punto il Guardasigilli, Angelino Alfano, e Niccolò Ghedini avrebbero illustrato le ragioni tecnico-giuridiche del ddl sul processo breve.

PARTITO - Il capo del governo è intervenuto anche sulle fibrillazioni interne al Pdl: "Il partito decide su tutto a maggioranza, chi non si adegua è fuori". Anche sulle candidature per le regionali, Berlusconi ha precisato che "decide il Pdl, non io personalmente". E sulla tv: "Basta trasmissioni che fanno guerra al governo".

L'ABBRACCIO - Il vertice del Pdl a Palazzo Grazioli è iniziato con un significativo abbraccio tra i ministri Giulio Tremonti e Renato Brunetta: un gesto di distensione dopo le tensioni dei giorni scorsi.

 

26 novembre 2009

 

 

REPUBBLICA

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2009-11-27

Procedura inusuale del capo dello Stato, che ha convocato i giornalisti

al termine di una cerimonia al Quirinale: "Sento il bisogno di parlare"

Napolitano: "Le toghe non travalichino"

Anm: "Ma c'è un'aggressione"

Napolitano: "Le toghe non travalichino" Anm: "Ma c'è un'aggressione"

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

ROMA - Imporre uno stop, nell'interesse della nazione, alla spirale di polemiche e tensioni sempre più drammaticizzata non solo fra partiti ma addirittura fra istituzioni, tenendo presente che "niente può far cadere un governo se ha la fiducia del Parlamento" e se conta su una maggioranza coesa. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha lanciato un vero e proprio appello alla politica italiana. E lo ha fatto dal Quirinale, con una dichiarazione non priva di toni allarmati. Che provoca la reazione dell'Anm. "Non siamo in guerra ma non vogliamo aggressioni" dice il presidente Luca Palamara.

Le parole di Napolitano rispondono punto per punto alle preoccupazioni manifestate da più parti nei rapporti tra politica e giustizia e anche ai timori del premier, Silvio Berlusconi, che ieri, durante l'ufficio di presidenza del Pdl, ha lamentato che la magistratura voglia "abbattere il suo governo".

La dichiarazione del presidente della Repubblica è avvenuta nella sala di rappresentanza del Colle con una procedura, sinora inedita, che testimonia la preoccupazione del capo dello Stato per lo scontro in atto nel Paese. Al termine dell'udienza con l'Anmil, l'Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi del lavoro, i giornalisti vengono raccolti nella sala di rappresentanza. Pochi minuti dopo, anche Napolitano ha raggiunto la sala per leggere la sua dichiarazione. Poche parole per motivarne l'urgenza: "Sento il bisogno di dire qualcosa in questo particolare momento. L'interesse del Paese richiede che si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali".

"Va ribadito - aggiunge il presidente - che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare. E' indispensabile che da tutte le parti venga uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che quanti appartengono alla istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione".

"E spetta al Parlamento - conclude Napolitano - esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia".

Le reazioni. Di "parole sagge" parla il presidente del Senato Renato Schifani, mentre Gianfranco Fini apprezza il messaggio del capo dello Stato e sottolinea come vada letto e apprezzato "nella sua totalità". Anche Umberto Bossi accoglie l'invito ad abbassare i toni: "Bisogna stare più tranquilli". Chi, invece, si smarca è Antonio Di Pietro: "Non posso però esimermi dal riaffermare che i magistrati, quando lamentano l'impossibilità di potere svolgere il proprio lavoro per colpa di norme criminogene che vengono emanate da questo Parlamento, non possono essere zittiti". Il presidente del Pd Rosy Bindi, invece, chiama in causa chi "continua a lanciare accuse di eversione o a parlare di guerra civile". Ovvero il premier. "Berlusconi dovrebbe verificare che, dopo le parole da lui stesso pronunciate contro esponenti del suo partito, sia ancora così solida" chiude Rosy Bindi. Per il leader dell'Udc Pierferdinando Casini si tratta di "un doppio monito che vale per tutti coloro che in questi giorni ingiustamente hanno fatto polemiche dissennate contro i vertici delle istituzioni, anche contro il Capo dello Stato".

Libertà e Giustizia. Dall'associazione, un comunicato di forte critica al premier. "Il presidente del Consiglio accusa la magistratura di essere una forza eversiva che "attenta alla vita del governo" e "rischia di portare il Paese sull'orlo della guerra civile". Di fronte a questo crescendo parossistico, forse vale la pena di tornare coi piedi per terra e di ripeterci alcune verità elementari.

Chi mira allo scontro indicato come guerra civile?

I pubblici ministeri si muovono su dati oggettivi: le notizie di reato per le quali possono chiedere il rinvio a giudizio. Per sapere se quei dati sono inventati ad arte e le accuse infondate c'è un unico modo: affrontare il processo. Solo così potremo capire se i rischi di cui parla il presidente del Consiglio sono reali.

In una democrazia come la nostra, l'esercizio dell'azione penale è un atto dovuto, previsto dalla Costituzione. Non dimentichiamolo mai".

(27 novembre 2009) Tutti gli articoli di politica

 

 

 

 

 

 

Oggi è stata fissata la ripresa del dibattimento sospeso il 4 ottobre 2008

in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sul lodo Alfano

Processo Mills, Berlusconi il 4 dicembre a Cdm

Ghedini: "Istanza di legittimo impedimento"

Il legale del premier: "Inusuale che non abbiamo già conosciuto il nuovo collegio

se fosse stato già indicato avremmo potuto fissare il calendario delle udienze"

Processo Mills, Berlusconi il 4 dicembre a Cdm Ghedini: "Istanza di legittimo impedimento"

L'avvocato Niccolò Ghedini

MILANO - "Il 4 dicembre il presidente del Consiglio è legittimamente impedito, perchè ha Consiglio dei Ministri". Lo ha detto l'avvocato Niccolò Ghedini, che insieme al professor Piero Longo difende il presidente del Consiglio, commentando il rinvio del processo davanti a nuovi giudici in cui Berlusconi è accusato di aver corrotto David Mills. L'avvocato inglese, per lo stesso reato, è già stato condannato a 4 anni e 6 mesi, con conferma della sentenza di primo grado in Corte d'appello. Oggi, appunto, è stata fissata per il 4 dicembre prossimo la ripresa del processo a carico del premier, che era stato sospeso il 4 ottobre 2008 in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sul lodo Alfano.

Di fronte al fatto che il presidente del Consiglio "ha l'intenzione di partecipare al processo", ha continuato Ghedini, "troveremo delle date utili per portare avanti il processo". A questo proposito, ha precisato il legale del premier, "è inusuale che non abbiamo già conosciuto il nuovo collegio". Infatti, ha proseguito l'avvocato e parlamentare del Pdl, se fosse stato già indicato, "avremmo potuto fissare il calendario delle udienze".

L'ex collegio giudicante che si è astenuto dal proseguire la causa per il leader del Pdl ha letto in aula una comunicazione del presidente del Tribunale, Livia Pomodoro, con la quale si dichiarano efficaci tutti gli atti processuali compiuti nel corso del dibattimento prima della separazione dei due imputati, lo stralcio Berlusconi, avvenuto il 4 ottobre dello scorso anno dopo il ricorso alla Corte Costituzionale sulla legittimità del lodo Alfano. Una dichiarazione che non è piaciuta ai difensori di Berlusconi: "Il fatto che gli atti siano stati dichiarati efficaci non vuol dire che siano utilizzabili", ha dichiarato Ghedini, al termine dell'udienza di 'smistamento'. L'avvocato ha spiegato che per utilizzare quegli atti è necessario il loro consenso. "Di volta in volta - ha dichiarato Ghedini - si deciderà quindi se dare il consenso o meno all'utilizzo degli atti già formati".

Dall'utilizzabilità o meno degli atti compiuti prima dello stralcio dipenderà la lunghezza nel tempo del processo al premier. "Nel processo mediaset i giudici hanno fissato le udienze di lunedì, qui pare di capire che lo faranno di venerdì, vedremo di contemperare le eisgenze della giustizia con quelle di chi ha il diritto e il dovere di governare" ha aggiunto Ghedini.

"Il Collegio presieduto da Nicoletta Gandus separò la posizione di Silvio Berlusconi da quella di David Mills, quando entrò in vigore il lodo Alfano, per non assolvere il premier", ha sottolineato l'avvocato Piero Longo, spiegando che "le dichiarazioni rese da Mills in istruttoria non potevano essere utilizzate perchè Mills non è mai venuto in aula a confermarle, quindi, per utilizzarle, ci sarebbe stato bisogno del nostro consenso in quanto difensori che, invece, non ci fu". "Siamo tranquilli - ha poi concluso Ghedini - se troveremo un giudice sereno ci sarà l'assoluzione".

(27 novembre 2009)

 

 

 

 

 

Ad una svolta l'indagine di Firenze sulle stragi del 1993. Il nome

del presidente del Consiglio nei verbali degli uomini della cosca di Brancaccio

Mafia, perché i pentiti

accusano Berlusconi

di ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO

Mafia, perché i pentiti accusano Berlusconi

Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri

NELL'INCHIESTA sui mandanti delle stragi del 1993 estranei a Cosa Nostra entrano Autore 1 e Autore 2. Gli ultimi interrogatori della procura di Firenze hanno una particolarità. Tecnica, ma comprensibilissima. I primi testimoni sono stati ascoltati in un'inchiesta a "modello 44", "notizie di reato relative a ignoti". Gli ultimi, a "modello 21", dunque "a carico di noti". I pubblici ministeri, nei documenti, non svelano i nomi dei nuovi indagati. Chi sono Autore 1 e 2? Secondo le indiscrezioni pubblicate già nei giorni scorsi dai quotidiani vicini al governo, sono Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, la cui posizione era stata già archiviata il 3 maggio del 2002. Se così fosse, l'atto è dovuto. Non è un mistero (un migliaio di pagine sono state depositate, tre giorni fa, al processo di appello a Dell'Utri che si celebra a Palermo) che un nuovo testimone dell'accusa - Gaspare Spatuzza - indica nel presidente del consiglio e nel suo braccio destro i suggeritori della campagna stragista di sedici anni fa. Queste sono le "nuove" dai palazzi di giustizia, ma quel che si scorge è molto altro. L'intero fronte mafioso è minacciosamente in movimento. "La Cosa Nostra siciliana" si prepara a chiedere il conto a un Berlusconi che appare, a ragione, in tensione e sicuro che il peggio debba ancora venire.

Accade che, nella convinzione di "essere stata venduta" dopo "le trattative" degli anni Novanta, la famiglia di Brancaccio ha deciso di aggredire - in pubblico e servendosi di un processo - chi "non ha mantenuto gli impegni". Ci sono anche i messaggi di morte. Al presidente del Senato, Renato Schifani, siciliano di Palermo. O, come raccontano le "voci di dentro" di Cosa Nostra, avvertimenti che sarebbero piovuti su Marcello Dell'Utri. Un'intimidazione che ha - pare - molto impaurito il senatore e patron di Publitalia. Sono sintomi che devono essere considerati oggi un corollario della resa dei conti tra Cosa Nostra e il capo del governo. È il modo più semplice per dirlo. Perché di questo si tratta, del rendiconto finale e traumatico tra chi (Berlusconi) ha avuto troppo e chi (Cosa Nostra) ritiene di avere nelle mani soltanto polvere dopo molte promesse e infinita pazienza. Questo scorcio di 2009 finisce così per avere molti punti di contatto con il 1993 quando la Penisola è stata insanguinata dalle stragi: Roma, via Fauro (14 maggio); Firenze, via Georgofili (27 maggio); Milano, via Palestro (27 luglio); Roma, S. Giorgio al Velabro e S. Giovanni in Laterano (28 luglio); Roma, stadio Olimpico (23 gennaio 1994), attentato per fortuna fallito. Nel nostro tempo, non c'è tritolo e devastazione, ma l'annuncio di una "verità" che può essere più distruttiva di una bomba. Per lo Stato, per chi governa il Paese.

Per capire quel che accade, bisogna sapere un paio di cose. La famiglia mafiosa dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano di Brancaccio a Palermo è il nocciolo irriducibile - con i Corleonesi di Riina e Bagarella, con i Trapanesi di Matteo Messina Denaro (latitante) - di una Cosa nostra siciliana che oggi ha il suo "stato maggiore" in carcere e in libertà soltanto mischini senza risorse, senza influenza, senza affari, incapace anche di concludere uno sbarco di cocaina perché priva del denaro per acquistare un gommone. La seconda cosa che occorre ricordare è che gli "uomini d'onore" non hanno mai ammesso di essere un'"associazione" (Giovanni Bontate che, in un'aula di tribunale, usò con leggerezza il noi fu fatto secco appena libero).

I mafiosi non hanno mai accettato di discutere i fatti loro, anche soltanto di prendere in considerazione l'ipotesi di lasciar entrare uno sguardo estraneo negli affari della casa, figurarsi poi se gli occhi erano di magistrato. Apprezzati questi due requisiti "storici", si può comprendere meglio l'originalità di quanto accade, ora in questo momento, dentro Cosa Nostra. Tra Cosa Nostra e lo Stato (i pubblici ministeri). Tra Cosa Nostra e gli uomini (Berlusconi, Dell'Utri) che - a diritto o a torto, è tutto da dimostrare - i mafiosi hanno considerato, dal 1992/1993 e per quindici anni, gli interlocutori di un progetto che, dopo le stragi, avrebbe rimesso le cose a posto: i piccioli, il denaro, al sicuro; i "carcerati" o fuori o dentro, ma in condizioni di tenere il filo del loro business; mediocri e distratte politiche della sicurezza; lavoro giudiziario indebolito per legge; ceto politico disponibile, come nel passato, al dialogo e al compromesso con gli interessi mafiosi.

Sono novità che preparano una stagione nuova, incubano conflitti dolorosi e pericolosi. La campana suona per Silvio Berlusconi perché, nelle tortuosità che sempre accompagnano le cose di mafia, è evidente che il 4 dicembre - quando Gaspare Spatuzza, mafioso di Brancaccio, testimonierà nel processo di appello contro Marcello Dell'Utri - avrà inizio la resa dei conti della famiglia dei fratelli Graviano contro il capo del governo che, in agosto, ha detto di voler "passare alla storia come il presidente del Consiglio che ha sconfitto la mafia".

È un fatto sorprendente che i mafiosi abbiano deciso di parlare con i pubblici ministeri di quattro procure (Firenze, Caltanissetta, Palermo, Milano). Vogliono contribuire "alla verità". Lo dice, con le opportune prudenze, anche Giuseppe Graviano, "muto" da quindici anni. Quattro uomini della famiglia offrono una collaborazione piena. Sono Gaspare Spatuzza, Pietro Romeo, Giuseppe Ciaramitaro, Salvatore Grigoli. Spiegano, ricordano. Chiariscono come nacque, e da chi, l'idea delle stragi che non "avevano il dna di Cosa Nostra" e che "si portarono dietro quei morti innocenti". Indicano l'"accordo politico" che le giustificò e le rese necessarie "per il bene della Cosa Nostra". I nomi di Berlusconi e Dell'Utri saltano fuori in questo snodo.

Gaspare Spatuzza, 18 giugno 2009, ricostruisce la vigilia dell'attentato all'Olimpico: "Giuseppe Graviano mi ha detto "che tutto si è chiuso bene, abbiamo ottenuto quello che cercavamo; le persone che hanno portato avanti la cosa non sono come quei quattro crasti dei socialisti che prima ci hanno chiesto i voti e poi ci hanno venduti. Si tratta di persone affidabili". A quel punto mi fa il nome di Berlusconi e mi conferma, a mia domanda, che si tratta di quello di Canale 5; poi mi dice che c'è anche un paesano nostro e mi fa il nome di Dell'Utri (...) Giuseppe Graviano mi dice [ancora] che comunque bisogna fare l'attentato all'Olimpico perché serve a dare il "colpo di grazia" e afferma: ormai "abbiamo il Paese nelle mani"".

Pietro Romeo, 30 settembre 2009: "... In quel momento stavamo parlando di armi e di altri argomenti seri. [Fu chiesto a Spatuzza] se il politico dietro le stragi fosse Andreotti o Berlusconi. Spatuzza rispose: Berlusconi. La motivazione stragista di Cosa Nostra era quella di far togliere il 41 bis. Non ho mai saputo quali motivazioni ci fossero nella parte politica. Noi eravamo [soltanto degli] esecutori".

Salvatore Grigoli, interrogatorio 5 novembre 2009: "Dalle informazioni datemi (...), le stragi erano fatte per costringere lo Stato a scendere a patti (...) Dell'Utri è il nome da me conosciuto (...), quale contatto politico dei Graviano (...) Quello di Dell'Utri, per me, in quel momento era un nome conosciuto ma neppure particolarmente importante. Quel che è certo è [che me ne parlarono] come [del nostro] contatto politico". E' una scena che trova conferme anche in parole già dette, nel tempo. I ricordi di Giuseppe Ciaramitaro li si può scovare in un verbale d'interrogatorio del 23 luglio 1996: "Mi [fu] detto che bisognava portare questo attacco allo Stato e che c'era un politico che indicava gli obiettivi, quando questo politico avrebbe vinto le elezioni, si sarebbe quindi interessato a far abolire il 41 bis (...). Quando Berlusconi [è] stato presidente del Consiglio per la prima volta, nell'organizzazione erano tutti contenti, perché si stava muovendo nel senso desiderato e [si disse] che la proroga del 41 bis era stata solo per 'fintà in modo da eliminarlo del tutto alla scadenza".

Ci sarà, certo, chi dirà che non c'è nulla di nuovo. "Pentiti di mafia" che confermano testimonianza di altri "pentiti di mafia" ci sono stati ieri, ci sono oggi. La differenza, in questo caso, è come questi uomini che hanno saltato il fosso sono trattati dagli altri, da chi - in apparenza - resta ben saldo nelle sue convinzioni di mafioso, nel suo giuramento d'omertà. Li rispettano, sorprendentemente. Non era mai capitato. Non li considerano degli "infami". Accettano il dialogo con loro. Anche i più ostinati come Cosimo Lo Nigro e Vittorio Tutino.

Cosimo Lo Nigro, il 10 settembre del 2009, è seduto di fronte a Gaspare Spatuzza. Spatuzza gli dice che "ha gioito - oggi me ne vergogno - , ma ho gioito per Capaci perché quello [Falcone] rappresentava un nemico per Cosa Nostra... ma il nostro malessere inizia nel momento in cui ci spingiamo oltre (...) su Firenze, Roma, Milano...". Lo Nigro lo ascolta, senza contraddirlo. Spatuzza ricostruisce come andarono le cose durante la preparazione della strage all'Olimpico. Lo Nigro lo lascia concludere e gli dice: "Rispetto le tue scelte, ma ancora ti chiedo: sei sicuro di ciò che dici e delle tue scelte?". Vittorio Tutino accetta di essere interrogato dai Pm di Caltanissetta. Non fa scena muta. Parla. Il suo verbale d'interrogatorio deve essere interessante perché viene secretato.

Già queste mosse annunciano la nuova stagione, ma la dirompente novità è nei cauti passi dei due boss di Brancaccio, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Sono i più vicini a Salvatore Riina. Hanno guidato con mano ferma la loro "batteria" fino a progettare la strage - per fortuna evitata per un inghippo nell'innesco dell'esplosivo - di un centinaio di carabinieri all'Olimpico il 23 gennaio del 1994. Sono in galera da quindici anni. Hanno studiato (economia, matematica) in carcere. Dal carcere si sono curati dell'educazione dei loro figli affidati ai migliori collegi di Roma e di Palermo e ora sembrano stufi, stanchi di attendere quel che per troppo tempo hanno atteso. Spatuzza racconta che, alla fine del 2004, Filippo Graviano, 48 anni, sbottò: "Bisogna far sapere a mio fratello Giuseppe che se non arriva niente da dove deve arrivare, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati". La frase è eloquente. C'è un accordo. Chi lo ha sottoscritto, non ha rispettato l'impegno. Per cavarsi dall'angolo, c'è un solo modo: dissociarsi, collaborare con la giustizia, svelare le responsabilità di chi - estraneo all'organizzazione - si è tirato indietro. Accusarlo può essere considerato "un'infamia"?

Filippo Graviano, il 20 agosto 2009, accetta il confronto con Gaspare Spatuzza. C'è una sola questione da discutere. Quella frase. Ha detto che "se non arriva niente da dove deve arrivare, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati"? La smentita di Filippo Graviano è ambigua. In Sicilia dicono: a entri ed esci. Dice Filippo a Gaspare: "Io non ho mai parlato con ostilità nei tuoi riguardi. I discorsi che facevamo erano per migliorare noi stessi. Già noi avevamo allora un atteggiamento diverso, già volevamo agire nella legalità. Noi parlavamo di un nostro futuro in un'altra parte d'Italia". La premessa è utile al boss per negare ma con garbo: "Mi dispiace contraddire Spatuzza, ma devo dire che non mi aspetto niente adesso e nemmeno nel passato, nel 2004. Mi sembra molto remoto che possa avere detto una frase simile perché, come ho detto, non mi aspetto niente da nessuno. Avrei cercato un magistrato in tutti questi anni, se qualcuno non avesse onorato un presunto impegno".

Filippo non ha timore di pronunciare per un boss parole tradizionalmente vietate, "legalità", "cercare magistrati". Si spinge anche a pronunciarne una, indicibile: "dissociazione". Dice, il 28 luglio 2009: "Da parte mia è una dissociazione verso le scelte del passato (...). Oggi sono una persona diversa. Faccio un esempio. Nel mio passato, al primo posto, c'era il denaro. Oggi c'è la cultura, la conoscenza. (...) Io non rifarei le scelte che ho fatto".

Anche Giuseppe Graviano, 46 anni, il più duro, il più autorevole (i suoi lo chiamano "Madre natura" o "Mio padre"), incontra i magistrati, il 28 luglio 2008. E' la prima volta che risponde a una domanda dal tempo del suo arresto, il 27 gennaio 1993. Dice: "Io sono disposto a fare i confronti, con coloro che indico io e che ritengo sappiano la verità. Sono disposto a un confronto con Spatuzza ma cosa volete che sappia Spatuzza che non sa niente, faceva l'imbianchino, sarà ricattato da qualcuno". Sembra che alzi un muro e che il muro sia insuperabile, ma non è così. Quando gli tocca parlare delle stragi del 1993, ragiona: "Perché non mi avete fatto fare il confronto con i pentiti in aula, quando l'ho chiesto? Così una versione io, una versione loro e poi c'è il magistrato [che giudica]: voi ascoltavate e potevate decidere chi stava dicendo la verità. La verità, [soltanto] la verità di come sono andati i fatti.. . io vi volevo portare alla verità. E speriamo che esca la verità veramente. Ve ne accorgerete del danno che avete fatto. Se noi dobbiamo scoprire [la verità], io posso dare una mano d'aiuto. Io dico che uscirà fuori la verità delle cose. Trovate i veri colpevoli, i veri colpevoli. Si parla sempre di colletti bianchi, colletti grigi, colletti e sono sempre innocenti [questi, mentre] i poveri disgraziati...".

Gli chiedono i magistrati: "Lei sa che ci sono colletti bianchi implicati in queste storie?". Risponde: "Io non lo so. Poi stiamo a vedere se... qualcuno ha il desiderio di dirlo che lo sa benissimo... Ma io non posso dire la mia verità così. Perché non serve a niente. Invece, ve la faccio dire, io, [da] chi sa la verità".

Ora bisogna mettere in ordine quel che si intuisce nelle mosse di Cosa Nostra. I "pentiti" non sono maledetti da chi, in teoria, stanno tradendo. Al contrario, ricevono attestati di solidarietà, segnali di rispetto, addirittura cenni di condivisione per una scelta che alcuni non hanno ancora la forza di decidere. E' più che un'impressione: è come se chi offre piena collaborazione alla magistratura (Spatuzza, Romeo, Grigoli) abbia l'approvazione di chi governa la famiglia (Giuseppe e Filippo Graviano) e ancora oggi può essere considerato al vertice di un'organizzazione che, in carcere, custodisce l'intera memoria della sua storia, delle sue connessioni, degli intrecci indicibili e finora non detti, degli interessi segreti e protetti. In una formula, il peso di un ricatto che viene offerto con le parole e i ricordi delle "seconde file" in attesa che le "prime" possano valutare quel che accade, chi e come si muove.

Ecco perché ha paura Berlusconi. Quegli uomini della mafia non conoscono soltanto "la verità" delle stragi (che sarà molto arduo rappresentare in un racconto processuale ben motivato), ma soprattutto le origini oscure della sua avventura imprenditoriale, già emerse e documentate dal processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri (condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa). Di denaro, di piccioli minacciano allora di parlare i Graviano e gli uomini della famiglia di Brancaccio. Dice Spatuzza: "I Graviano sono ricchissimi e il loro patrimonio non è stato intaccato di un centesimo. Hanno investito al Nord e in Sardegna e solo così mi spiego perché durante la latitanza sono stati a Milano e non a Brancaccio. È anomalo, anomalissimo". Se a Milano - dice il testimone - Filippo e Giuseppe si sentivano più protetti che nella loro borgata di Palermo vuol dire che chi li proteggeva a Milano era più potente e affidabile della famiglia.

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2009-11-26

Berlusconi: chi critica va fuori dal Pdl

"Toghe eversive, attentano al governo"

ROMA - Berlusconi attacca a tutto campo davanti all'ufficio di presidenza del Pdl. Batte i pugni sul tavolo, dopo settimane di polemiche con Fini e con i finiani, lanciando un aut-aut ai contestatori: chi non è d'accordo se ne va dal partito.

Ma insieme parte di nuovo con violentissime accuse alla magistratura, indicata come una forza eversiva che "attenta alla vita del governo" e "rischia di portare il Paese sull'orlo della guerra civile".

(26 novembre 2009)

L'UNITA'

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2009-11-27

L'allarme di Napolitano "Fermare le tensioni e lo scontro tra istituzioni"

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, legge una dichiarazione ai giornalisti a margine di un'udienza in Quirinale e lancia un appello fortissimo a evitare una ulteriore drammatizzazione delle tensioni, non solo tra partiti politici, ma tra istituzioni con poteri diversi. Sono quindici righe che rispondono punto per punto alle preoccupazioni manifestate da più parti nei rapporti tra politica e giustizia e anche ai timori del premier, Silvio Berlusconi, che ieri, durante l'ufficio di presidenza del Pdl, ha lamentato che si voglia "abbattere il suo governo".

La dichiarazione del presidente della Repubblica avviene nella Sala di Rappresentanza del Colle con una procedura, sinora inedita, che testimonia la preoccupazione del capo dello Stato per lo scontro in atto nel Paese. Al termine dell'udienza con l'Anmil, i giornalisti vengono raccolti nella Sala di Rappresentanza dove pochi minuti dopo Napolitano li raggiunge e legge la sua dichiarazione. Poche parole per motivarne l'urgenza: "Scusate, vi ringrazio della vostra disponibilità - dice il presidente -. Sento il bisogno di dire qualcosa in questo particolare momento".

Questo il testo integrale della dichiarazione rilasciata dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ai giornalisti.

"L'interesse del paese - che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine economico e sociale - richiede che si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali. Va ribadito che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare.

È indispensabile che da tutte le parti venga uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che quanti appartengono alla istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione. E spetta al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia".

Il testo è stato reso noto dall'ufficio stampa del Quirinale.

27 novembre 2009

 

 

 

 

L'Anm: "Non siamo in guerra con nessuno ma siamo aggrediti". "No riforme punitive"

"Noi magistrati non siamo in guerra con nessuno, ma chiediamo di non essere aggrediti". Lo ha detto il Presidente dell' Anm, Luca Palamara, conversando con i giornalisti dopo l' incontro con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. "Il Quirinale ha ragione, ognuno ha il suo ruolo e deve rispettarlo, tuttavia le parole del presidente non si sezionano a piacere. E di fronte alle aggressioni, è difficile non rispondere".

Tuttavia l'Anm non ci sta ad accettare "divisioni tra magistrati buoni e cattivi, tra rossi e neri". Il nostro contributo non manca per una riforma reale e urgente della giustizia - continua Palamara - ma non va in questo senso il processo breve...". Il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini da parte sua sottolinea che l'associazione "continuerà a mantenere la linea dell'equilibrio e della misura senza rinunciare però al dovere di difendere i singoli magistrati e l'ordinamento giudiziario da aggressioni e insulti".

L'Anm dunque approva le parole del capo dello stato ma rivendica la possibilità di esprimere il proprio parere di fronte alle aggressioni del premier.

"Essere aggrediti costantemente -ha lamentato Palamara- è un'operazione che rende molto difficile anche da parte della magistratura associata continuare a mantenere il ruolo di equilibrio che sempre in questo periodo la magistratura ha voluto

portare avanti".

"Nell'incontro con il presidente della Camera ovviamente abbiamo ripercorso quelle che sono le nostre posizioni sui temi di carattere generale e sui temi di carattere attuale, in particolar modo mi richiamo al processo breve. Abbiamo espresso le nostre preoccupazioni del momento, anche con riferimento ai temi delle aggressioni ai magistrati, e abbiamo svolto le nostre considerazioni sulla necessità che il tema giustizia venga affrontato a 360 gradi e non si facciano riforme di carattere parziale o di carattere punitivo".

27 novembre 2009

 

 

 

 

 

2009-11-26

Berlusconi, ultimatum al Pdl: "Decide il partito. Chi non condivide è fuori"

"Il partito decide su tutto a maggioranza, chi non si adegua è fuori". Lo avrebbe detto il premier Silvio Berlusconi in un passaggio del suo intervento all'ufficio di presidenza del Pdl.

"È in atto un tentativo di far cadere il governo". È quanto avrebbe spiegato Silvio Berlusconi durante la riunione dell'ufficio di presidenza del Pdl. Il premier avrebbe puntato soprattutto il dito contro la magistratura, spiegando che avrebbe preso una deriva eversiva.

Giustizia "Una parte della magistratura ha preso una deriva eversiva. È quanto avrebbe detto Silvio Berlusconi all'ufficio di presidenza del Pdl. Il premier ha parlato, riferiscono alcuni presenti, di una guerra civile in atto da parte di frange della magistratura. "C'è una persecuzione giudiziaria nei miei confronti, che porta il paese sull'orlo della. guerra civile", avrebbe detto. Le decisioni sulle riforme, sulla giustizia, sulla immigrazione, si prendono a maggioranza nell'ufficio di presidenza del Pdl e chi non le rispetta si pone fuori, ha ribadito Berlusconi.

Attacco alla Rai "Ogni giorni vanno in onda sulla Rai, la televisione pubblica, processi contro il governo e la maggioranza, che devono finire". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi, secondo quanto riferito da alcuni partecipanti, durante il vertice del Pdl a Palazzo Grazioli

26 novembre 2009

il SOLE 24 ORE

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2009-11-27

Napolitano: nulla può abbattere governo che ha la maggioranza

27 NOVEMBRE 2009

Palamara (Anm): "Non siamo in guerra"

Il Csm contro Berlusconi: "Acquisiremo le sue dichiarazioni sui giudici"

Berlusconi attacca le toghe e minaccia: "Fuori dal Pdl chi non è in linea"

IL PUNTO / Il corto circuito della legislatura (di Stefano Folli)

PILLOLA POLITICA / Fini tesse il dialogo con il Pd, sulle riforme la scure giustizia (di Emilia Patta)

Radio24 / Ghedini sul processo Mills

Radio24 / Ghedini su Berlusconi e i magistrati

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha convocato i giornalisti per una dichiarazione - fatto piuttosto inusuale - al termine di una cerimonia al Quirinale per chiarire la sua posizione dopo le accese polemiche di questi giorni sull'attualità politica. "Sento il bisogno di dire qualcosa in questo particolare momento", ha spiegato il capo dello Stato.

Ecco il testo integrale della dichiarazione rilasciata da Napolitano ai giornalisti: "L'interesse del paese - che deve affrontare seri e complessi problemi di ordine economico e sociale - richiede che si fermi la spirale di una crescente drammatizzazione, cui si sta assistendo, delle polemiche e delle tensioni non solo tra opposte parti politiche ma tra istituzioni investite di distinte responsabilità costituzionali".

"Va ribadito - continua il capo dello Stato - che nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento, in quanto poggi sulla coesione della coalizione che ha ottenuto dai cittadini-elettori il consenso necessario per governare. È indispensabile che da tutte le parti venga uno sforzo di autocontrollo nelle dichiarazioni pubbliche, e che quanti appartengono alla istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione, si attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione. E spetta al Parlamento esaminare, in un clima più costruttivo, misure di riforma volte a definire corretti equilibri tra politica e giustizia".

27 NOVEMBRE 2009

 

 

 

 

Palamara (Anm): "Non siamo in guerra"

27 novembre 2009

Nel giorno in cui Napolitano richiama i magistrati e la politica a non travalicare la propria funzione, il presidente dell'Anm Luca Palamara sottolinea "che non siamo in guerra" e che "di fronte alle aggressioni, è difficile non rispondere". Ma l'Anm non ci sta ad accettare "divisioni tra magistrati buoni e cattivi, tra rossi e neri".

"Il nostro contributo non manca per una riforma reale e urgente della giustizia - continua Palamara - ma non va in questo senso il processo breve...". Il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini da parte sua sottolinea che l'associazione "continuerà a mantenere la linea dell'equilibrio e della misura senza rinunciare però al dovere di difendere i singoli magistrati e l'ordinamento giudiziario da aggressioni e insulti".

27 novembre 2009

 

 

 

 

Il Csm contro Berlusconi: "Acquisiremo le sue dichiarazioni sui giudici"

27 novembre 2009

Berlusconi attacca le toghe e minaccia: "Fuori dal Pdl chi non è in linea"

IL PUNTO / Il corto circuito della legislatura (di Stefano Folli)

PILLOLA POLITICA / Fini tesse il dialogo con il Pd, sulle riforme la scure giustizia (di Emilia Patta)

"Dai nostri archivi"

Berlusconi attacca le toghe e minaccia: "Fuori dal Pdl chi non è in linea"

Fini-Berlusconi: verso lo show down su giustizia e leadership Pdl

Il Csm apre una pratica a tutela dei giudici accusati da Berlusconi

Lodo Mondadori: Csm in campo a tutela del giudice Mesiano

Scontro tra Berlusconi e toghe: Csm con i magistrati di Milano

Il Csm acquisirà le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante la riunione dell'ufficio di presidenza del Pdl. "E' un'escalation di denigrazioni contro tutta la magistratura, non possiamo fare a meno di intervenire", dice il consigliere togato Mario Fresa (Movimento per la giustizia), che in Prima Commissione è relatore della pratica già aperta dopo le affermazioni con le quali il premier, lo scorso settembre, accusava i magistrati di Milano e Palermo di cospirare contro di lui.

Il premier, durante la riunione di ieri dell'ufficio di presidenza del Popolo delle Libertà, aveva illustrato ai massimi dirigenti del partito i cambiamenti che il governo vuole apportare nella celebrazione dei processi in Italia, affermando che "con questi magistrati non si può andare avanti, ora occorre cambiare passo". Berlusconi avrebbe parlato anche di "una vera e propria persecuzione giudiziaria" nei suoi confronti, "che porta il paese sull'orlo della guerra civile".

"Chiederò alla Commissione - ha spiegato Fresa - di acquisire le ultime dichiarazioni, anche riportate attraverso gli organi di stampa. Sono dichiarazioni pubbliche. Lunedì avremmo comunque discusso della pratica già aperta. Avremmo voluto che non ci fossero altre dichiarazioni di questo tenore. Quelle pronunciate ora sono anche più gravi: si accusa la magistratura di voler sovvertire la democrazia, la Costituzione. Sono queste dichiarazioni - sostiene ancora Fresa - che pongono seri problemi di tenuta delle istituzioni democratiche; si altera l'equilibrio tra poteri e funzioni dello Stato".

27 novembre 2009

 

 

 

 

Processo Mills, udienza fissata al 4 dicembre. Ghedini: "Ma il premier non ci sarà, ha il Cdm"

27 novembre 2009

 

Il processo per corruzione in atti giudiziari che vede imputato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi riprenderà il 4 dicembre 2009 di fronte a un nuovo collegio della decima sezione del Tribunale penale di Milano. La designazione di un nuovo collegio si è ritenuta necessaria in quanto quello con cui il procedimento era iniziato è divenuto incompatibile e si è dovuto astenere in quanto aveva già emesso la sentenza di condanna per l'avvocato inglese David Mills, coimputato di Berlusconi.

Ma l'avvocato del premier, il deputato Niccolò Ghedini, ribatte che "il presidente Silvio Berlusconi il 4 dicembre non potrà essere in aula perché è fissata una riunione del Consiglio dei ministri e per questa ragione confermando quanto già detto in aula depositerò un'istanza di legittimo impedimento. Noi - aggiunge Ghedini - pensavamo di trovarci già oggi di fronte al nuovo collegio, per concordare un minimo di calendario di udienze ma con una procedura inusuale così non è stato".

 

Un altro punto di confronto riguarda gli atti acquisiti fino al provvedimento di sospensione e alla separazione della posizione di Silvio Berlusconi al processo: il presidente del tribunale di Milano, Livia Pomodoro, ha dichiarato l'efficacia di tutti gli atti compiuti dai giudici della decima sezione penale fino alla sospensione determinata dal lodo Alfano nel processo in cui Silvio Berlusconi è imputato per corruzione in atti giudiziari del legale inglese David Mills. A comunicarlo è stato il giudice Nicoletta Gandus che, nell'udienza in cui stamane si è dichiarata incompatibile a giudicare, insieme agli altri giudici della decima sezione penale, Silvio Berlusconi, ha anche dato lettura del provvedimento della Pomodoro che, di fatto, scioglie uno dei nodi che si riaffacciavano con la riapertura del processo al presidente del Consiglio. Tutti gli atti, comprese le rogatorie internazionali, che sono stati svolti fino al momento della sospensione nel dibattimento, vengono considerati validi e, quindi, il processo al premier riparte in uno stato molto avanzato del dibattimento.

Niccolò Ghedini, però, fa notare che "il fatto che il tribunale abbia dichiarato che gli atti compiuti prima della sospensione per il lodo Alfano nel processo Mills siano efficaci, non vuol dire anche che saranno utilizzabili". "Servirà infatti il nostro consenso - spiega - per la loro utilizzabilità e decideremo di volta in volta se darlo".

27 novembre 2009

 

 

 

 

 

2009-11-26

Berlusconi contro i giudici: portano il paese sull'orlo della guerra civile

26 novembre 2009

"Dai nostri archivi"

Arriva l'anagrafe degli studenti con voti e note giudiziarie

Berlusconi sulla polemica Brunetta-Tremonti: "La dialettica resti interna al governo"

L'attacco del Giornale a Fini e l'irritazione del premier sulla giustizia

Berlusconi-Fini, lo scontro a distanza continua

Sicurezza, lo stop di Berlusconi alla Lega

 

"Con questi magistrati non si può andare avanti, ora occorre cambiare passo". Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non recede dai suoi propositi di riforma del sistema giudiziario italiano e nella riunione dell'ufficio di presidenza del Popolo delle Libertà illustra ai massimi dirigenti del partito le sue intenzioni riguardo al rapporto tra politica e giustizia e ai cambiamenti che il governo vuole apportare nella celebrazione dei processi in Italia. Berlusconi ha parlato anche di "una vera e propria persecuzione giudiziaria" nei suoi confronti, "che porta il paese sull'orlo della guerra civile". Il premier ha parlato esplicitamente di tentativi di far cadere il governo da parte di componenti della magistratura, nell'ambito di una "deriva eversiva" di una parte delle toghe. Il premier avrebbe inoltre illustrato le ragioni politiche che dovrebbero portare il centrodestra a intervenire sulla giustizia, mentre il Guardasigilli, Angelino Alfano, e Niccolò Ghedini avrebbero illustrato le ragioni tecnico-giuridiche del disegno di legge sul processo breve. Sulle riforme, la giustizia, l'immigrazione e tutti i temi caldi oggetto di dibattito politico interno al partito, ha precisato Berlusconi, le decisioni si prendono a maggioranza "e chi non le rispetta si pone fuori".

Sulla situazione all'interno del governo e i recenti screzi che hanno coinvolto alcuni ministri (in primo luogo Brunetta e Tremonti, ndr) il premier ha detto che il programma di governo è chiaro ed è stato sottoscritto da tutti in campagna elettorale. Su ogni tema si decide a maggioranza e chi non è d'accordo occorre che si adegui, avrebbe ragionato il premier secondo quanto riferiscono alcuni partecipanti alla riunione.

26 novembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

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